Flashartonline.it - Marzo 2011

PDF version




Uno, nessuno, centomila



By Roberto Ago


Qualche breve riflessione su Luca Rossi — che ormai tutti conoscete — e il cosiddetto “pensiero divergente”, stiletto concettuale da lui impugnato nella guerriglia intrapresa sul blog Whitehouse ma anche su Flash Art ed Exibart. Com’è noto, la condizione necessaria per criticare qualcosa o qualcuno con una qualche chance di obiettività è proprio quella di essere distaccati rispetto all’oggetto preso in esame. Si prenda ad esempio di ciò l’ottimo Marco Travaglio nei confronti dei governanti che da anni imperversano e, nell’ambito che propriamente ci compete, Luca Rossi versus il nostro disastrato sistema dell’arte, e si veda come questo non sia esattamente quello che accade con la gran parte dei nostri critici e curatori, conviventi (e spesso conniventi) in una moltitudine di piccoli “clan” dove gli inevitabili ma davvero eccessivi conflitti d’interesse, la frammentazione delle consorterie e le politiche particolari fanno solo il male del sistema complessivo.


Roberto Ago e Luca Rossi, Uno, nessuno, centomila. Work in progress su Whitehouse (www.whitehouse.splinder.com).


Le nostre ottime riviste e portali elettronici d’arte, ovvero gli organi preposti alla divulgazione di un pensiero critico che, viceversa, appare massimamente “con-vergente”, non possono che ospitare gli interventi di questi operatori anche molto preparati, i quali fanno della puntuale informazione, della critica militante volta alla sponsorizzazione di artisti, gallerie e degli operatori stessi e della critica retrospettiva su artisti del passato prossimo e remoto; ma molto raramente, se non mai, della critica “negativa”, quando proprio tale aggettivo costituisce il connotato semantico fondamentale di questa parola e il suo primo mandato.
Ora, chiunque abbia studiato un minimo sa benissimo che il pensiero divergente, storicamente, se molte volte non ha avuto ragione dei suoi avversari, quasi sempre l’ha avuta delle loro idee. Nel suo bel libro Modernità e ambivalenza, per esempio, Zygmunt Bauman traccia una breve storia degli intellettuali ebrei che a cavallo tra Otto e Novecento inventarono nientemeno che la Modernità, sottolineando come il fatto di essere stati esclusi ed emarginati dalle varie intellighenzie europee a causa della loro problematica “natura”, fosse stato motivo di rivalsa ed emancipazione nel campo della cultura. Innovare un contesto culturale è criticarne lo stato precedente, mentre criticarlo è tentare di innovarne gli aspetti deficitari e incancreniti. Non solo è doveroso denunciare un sistema disfunzionale e al quale legittimamente si desidera aderire, ma anzi proprio il dissenso mosso dai settori più indipendenti e “sovversivi” è il modo privilegiato di pervenire a una critica seria e autorevole, che poi è l’unica vera garanzia che quel sistema ha di rinnovarsi e migliorare. Ignorare ciò è ignorare la storia e i meccanismi del progresso culturale.
Luca Rossi sta operando esattamente come i grandi ebrei di cui sopra, e fa impressione vedere in quanti non siano disposti a riconoscerlo — al punto da non controbattere nemmeno alle argomentazioni spesso inoppugnabili mosse contro di loro. Essi si comportano come le élite culturali di cui sopra. Ad eccezione del “mentore” Fabio Cavallucci e di un paio di curatori poco coinvolti, finora gli unici operatori che abbiano colloquiato in modo dialettico con Rossi sono stati Giacinto Di Pietrantonio e Angela Vettese, ovvero i due nostri critici più importanti (in patria). In un certo senso profondo, il Padre e la Madre dei tanti colleghi inutilmente chiamati in causa da Rossi e per i quali hanno presenziato in veste di genitori, monitorando un figlio un po’ discolo con i fratelli. Questo fatto è sconcertante, e non fa onore a tutti quelli che non hanno osato intervenire, inficiando con il loro silenzio un pensiero critico autorevole e finalmente “di- vergente”. Il quale dovrebbe albergare dentro ognuno di loro, e non essere proiettato in modo iperbolico su un pirandelliano “Luca Rossi”, che altro non è se non il ritorno di un rimosso collettivo espulso a suo tempo proprio da chi non osa muovere critica alcuna e che, messo di fronte a chi invece può farlo nell’anonimato, non sa rispondere che con il diniego.
Non diceva Oscar Wilde, “Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero”? Luca Rossi è un Sintomo, e come tale va interpretato. Chi lo accusa di non avere il coraggio di “metterci la faccia” non ha colto la sfida simbolica che il nostro ci ha lanciato: se io dico la verità a viso coperto è solo perché voi a viso scoperto non osate dirla, e dunque il mio anonimato non è altro che un rovescio simbolico del vostro, una metafora dello iato profondo tra la funzione critica pubblica che rivestite ma che, come individui, non avete il coraggio di esibire.
Qualunque operatore dovrebbe riconoscere che Rossi per lo più sta dicendo cose vere e sacrosante (perché dimostrabili). Suo, e non certo di “addetti ai lavori” ufficialmente preposti alla cosa, il merito di aver fatto un po’ di chiarezza su molte lacune dell’arte nostrana, individuando dei possibili punti d’avvio per una serie di riflessioni condivise e propedeutiche a un miglioramento dello stato di cose.

Il nostro Mr. X si sta rivelando come quel pharmakon che molti attendevano, veleno se considerato come un anonimo piantagrane, medicina se colto come possibile rimedio all’identità smarrita dalla nostra critica. Perché il giorno in cui le firme più note e accreditate dimostrassero il coraggio di esercitare fino in fondo quel mestiere di “critico” che il nostro ci sta esortando a onorare, l’impersonale Maschera di Luca Rossi cederebbe il passo a tante facce emergenti dall’oblio del loro timore, finalmente pronte a un confronto specialistico anche aspro che farebbe solo il bene di tutti.


Roberto Ago è artista e curatore. Vive e lavora a Milano.