I edizione in Artribune.com - Dicembre 2012



II edizione aggiornata, anno 2017


Requiem di Natale



Roberto Ago 



Un sabato pomeriggio, Natale alle porte e Milano sotto la neve, vado a Brera con degli amici a vedere la bella mostra dedicata ai Tarocchi Sola Busca, tuttora in corso. Costretti, nostro malgrado, a spendere l’intera cifra del biglietto – un tiro mancino che però si farà perdonare –, ne approfittiamo per ritrovare le sale permanenti della Pinacoteca.




Chirurgia di Brera ovvero la Pietà di Giovanni Bellini in restauro live alla Piancoteca di Brera


Dopo vari capolavori iniziali, tra cui la stupenda Madonna con bambino e coro di cherubini di Mantegna, notiamo con dispiacere che di Giovanni Bellini è sparita la celeberrima Pietà. Tutti conoscono l’opera: il Cristo, morto e appoggiato appena a una lapide marmorea, è raffigurato in piedi mentre viene sorretto ai due lati da Maria e Giovanni, secondo uno schema compositivo evocativo della Natività. Pazienza, proseguiamo. Poco dopo, una inopinata, maestosa apparizione ci coglie di sorpresa. La Pietà, che qualche metro prima aveva lasciato un vuoto sulla parete e nei nostri occhi, si mostra in tutto il suo splendore all’interno di un enorme e avveniristico laboratorio di restauro approntato all’interno di una sala espositiva.
Mai ricontestualizzazione di un’opera è apparsa più felice e abissale, seppur nell’inconsapevolezza dei suoi artefici. Ma occorre recarsi sul posto per rendersene pienamente conto. Il dipinto, privato della cornice, se ne sta appoggiato su quello che non è più il freddo marmo di una lapide, bensì un più ottimistico tavolo operatorio. Dei morsetti di sicurezza lo fissano saldamente, consegnandolo allo sguardo consueto e impassibile del chirurgo (quando c’è), così come a quello, stupito, dello spettatore di là dal vetro. L’enorme vetrina, grande quasi quanto lo spazio che la contiene, sembra custodire il gioiello di una cassaforte infrangibile, o la reliquia di una cattedrale consacrata allo spettacolo della tecnoscienza. Asettica come solo un ospedale sa essere e sigillata da una porta blindata, assomiglia in modo impressionante a una di quelle grandi teche a cui ci abituati Damien Hirst, le quali, com’è noto, conservano sovente al loro interno proprio dei corredi medico-scientifici a volte accompagnati da reliquie animali.
Anche qui non mancano cassetti e scaffali ricolmi di strumentazioni tecnologiche all’avanguardia, di tabelle dai dati imperscrutabili e di composti chimici supposti medicamentosi, mentre lampade e tubi, lenti e microscopi circondano il cadavere mai davvero cadavere. Non mancano nemmeno dei classici cavalletti da pittura, trasfigurati tuttavia in protesi mediche. Gli addetti ai restauri delle opere conservate nella Pinacoteca, scoprirò poi consultando il web, come ogni anatomopatologo che si rispetti devono indossare speciali maschere e tute antisettiche, prima di entrare nel tempio e operare quei morti viventi che sono le opere d’arte. Oggi, sotto Natale, è la volta di Cristo.



Damien Hirst


L’insieme, pur contenendo un celebre dipinto, non è tuttavia esso stesso un’opera d’arte. Eppure meriterebbe che un tale appellativo lo individuasse come tale ben al di là di un registro solo retorico e nominalistico. Né io né altri potremo concedere a questa fortunata ricontestualizzazione di un capolavoro della pittura di divenire a sua volta capolavoro imperituro. A fronte di tanta sedicente arte che invecchierà, spesso inutilmente, nei musei di mezzo mondo, tale meraviglia presto svanirà nel nulla, quando un nuovo miracolo tecnologico sarà stato compiuto e Cristo nuovamente sarà risorto. Siccome ritengo quest’opera condannata all’oblio una delle occorrenze estetiche più significative apparse negli ultimi anni, e certamente in questo 2012 prossimo alla fine, vorrei battezzarla in quanto Chirurgia di Brera, prima di conferirle l’estrema unzione. Questa mia vuole dunque rappresentare un sentito “Requiem di Natale”, paradossale in più di un senso, come vedremo.
Nonostante l’indubbia vicinanza stilistica, non c’è una sola teca di Hirst che possa tenerle testa, in quello che sarebbe un testa a testa con Cristo. Neanche a idearla appositamente per un confronto all’ultimo sangue, e all’ultimo sangue di Cristo, Hirst riuscirebbe a spuntarla. Perché? Tanto per cominciare, Chirurgia di Brera non sarà vera opera ma è vera realtà, e dunque verità di un mondo che si auto-rappresenta spontaneamente, senza l’artificiosità propria dell’arte. Come accadde l’11 settembre del 2001, quando sull’esempio di un cavallo di legno due uccelli di ferro assaltarono la rocca di Manhattan non più sulle ali della poesia, bensì sospinti da una moltitudine di telecamere onniscienti e ubique, anche stavolta il reale ha superato quell’attività sempre più “dopata” che chiamiamo arte. Non ce n’è, questa Chirurgia di Brera è troppo significativa, troppo necessaria, troppo autentica per non finire con il ridimensionare ogni messa in scena artistica, anche la più riuscita, in quanto operazione volta alla mera simulazione e dunque, in fondo, posticcia e poco credibile.



Chirurgia di Brera ovvero la Pietà di Giovanni Bellini in restauro live alla Piancoteca di Brera


Quale altro paradosso, oltre a quello del suo Battesimo/Funerale, sta mettendo in scena, paradossalmente senza fingere, la nostra Chirurgia di Brera? Guarda caso sotto Natale, quello di una Natività e di una Resurrezione che si danno anch’esse contemporaneamente, sotto i nostri occhi di spettatori non vedenti, nell’indifferenza generale di un pubblico dell’arte troppo assorto ad adorare  feticci, per accorgersi che il Feticcio per antonomasia è in sala di rianimazione. Alla Pinacoteca di Brera, in questo ospizio esclusivo affollato di mummie variopinte, è esposto un capolavoro d’infermeria, attraverso il quale un’intera società sta parlando sinceramente di sé, mostrandosi senza esibirsi, mentre assiste a quella stessa cerimonia che pur non comprendendo, esegue con perizia. Un’operazione chirurgica è in corso nientemeno che sul corpo di Cristo, sul corpo dei corpi, sulla corporazione di tutte le corporazioni, e dunque sul corpo di ciascuno di noi. 



Giovanni Bellini – Cristo in Pietà tra la Vergine e san Giovanni evangelista, 1460 circa, tempera e oro su tavola – ©Bergamo, Accademia Carrara


Come solo gli autentici capolavori sanno fare, quest’opera/operazione segna un passagio epocale del testimone, sintetizzando in icona un cambio di paradigma inauguratosi molto tempo fa e progressivo, che l’Occidente ha abbracciato con convinzione crescente e che ha trovato qui, non a caso ma casualmente, la sua insegna più emblematica. Certamente possiamo, con Nietzsche e Derrida, ricondurre Chirurgia di Brera a un orizzonte onto-teologico laico, sovrano e cosmetico, che sancisce il trionfo definitivo della tecnoscienza mentre impone la resa incondizionata all’antica fede. L’Agnello sacrificale è sottratto al suo consueto destino, nessun corpo morente anelerà più alla misericordia del Padre e alla salvezza dell’anima, quanto a quelle diagnosi mediche capaci di trattenerlo in Terra, rimandando ogni sepoltura. Tale primato si rivela a tal punto inequivocabile, da mostrarci come il monopolio della speranza sia stato assorbito da una nuova divinità, immanente e laica, dispensante un santuario tecnologico, una “pater-maternità” asettica e iperefficiente a cui perfino Cristo ha finito per chiedere pronto soccorso. Tradito il Padre e passato al nemico, di tale divinità il Figlio dell’uomo è divenuto nuovamente, vero ready made “rettificato” (qui soprattutto sta la genialità di quest’opera), il Testimone privilegiato.
Immagino che, durante questi giorni natalizi, il corpo eternamente ferito a morte di Cristo, già morto prima ancora di nascere e già resuscitato prima ancora di morire, sia ancora lì, sotto i ferri, sotto controllo e sotto protezione nel vergine ventre che lo sta partorendo/seppellendo. Il luogo è perfetto e il momento pure. Andate dunque a rendere omaggio a questo presepe di tutti i presepi, che è anche Pasqua di tutte le pasque. Affrettatevi però ché potreste trovare la grotta/sepolcro vuoti!