I edizione in Exibart.com - Novembre 2013



II edizione aggiornata, anno 2017


2001: appunti per un’odissea sacrificale #2



Roberto Ago



Prosegue l'esplorazione di 2001: Odissea nello Spazio. Dopo la breve ricognizione attorno agli inizi del film ovvero dell'umanità, e alla rivalità mimetica che avviluppa i quattro antagonisti principali, è il momento di formulare una completa, anche se certamente ancora scarna, ipotesi esplicativa circa il senso complessivo di questo capolavoro della storia del cinema


Abbiamo ridefinito il “soggetto” di 2001 alla luce dell'origine sacrificale dell'umanità e della dialettica prometeica che contrappone l'astronauta Dave e il computer Hal 9000. E' il momento di riscrivere la “sceneggiatura” del film. A partire dall'empiria euristica del mio video e da quanto finora stabilito, è facile mostrare come la pellicola sia strutturata attorno a quattro vittime espiatorie:
1) la “prima”, quella forgiante ogni futura trascendenza; 2) è la volta quindi della trascendenza simbolizzata e cioè del monolito, presto eclissato da un Prometeo ante litteram armato di osso; 3) segue, magie del cinema, il computer Hal 9000, disattivato dall'astronauta Dave; 4) Dave medesimo chiude il cerchio attraverso la sua palingenesi sacrificale.
Quattro sono dunque le staffette sacrificali che governano l’avvicendamento dei rispettivi protagonisti, strutturando l'intera pellicola. Vediamole più da vicino.



Roberto Ago - Double bind, 2013, Frame da video


Il gioco delle tre Parche

1) Prologo in cielo (leggi pure sottoterra). Delle quattro staffette sacrificali, tuttavia, nel film ne sono riscontrabili soltanto tre lo start omicida essendo, come in ogni mito che si rispetti, occultato. Esso non appare o appare sotto mentite spoglie, riconducibile a quella vittima originaria che si perde nella notte dei tempi e di cui il monolito è spia sinistra. E' di Giuseppe Fornari* il merito di aver suggerito l’identità della stele di 2001 con il cadavere della vittima fondatrice (che beninteso è legione), di cui costituisce la simbolica pietra tombale. Essa è il primo simbolo artificiale della trascendenza sacra.
2) In apertura del film, quindi, che lungi dal rappresentare “L'alba dell'uomo” ne costituisce il secondo atto, vediamo che il monolito-modello suggerisce all'ominide-allievo un primo desiderio umano che in realtà è già “secondo”, e che dunque non è affatto quello di una volontà omicida documentata sin dall'inizio, bensì quello di una capacità omicida sempre più performante. È la violenza in quanto motore di civiltà, sia pure intesa nel suo primato tecnico-protesico, e non certo la nascita di un'intelligenza simbolica inscritta nel successivo monolito (non a caso di sapore “neolitico”), ad avere qui la sua insegna più celebre. L'ominide-allievo ne è a tal punto contagiato che si piega al volere divino con zelo e anzi con abnegazione, ma nel fare sua quella oscura volontà di perfezionamento finisce per sostituire se stesso alla divinità, che infatti si eclissa. Ora è lui il modello forgiante, il prometeico eroe civilizzatore che fonderà sul sangue quella civiltà della tecnica che Kubrick celebra sulle note di un valzer gentile quanto imperioso.



Roberto Ago - Double bind, 2013, Frame da video

3) “Poco dopo”, è pronto ad entrare in scena un nuovo aspirante allo status divino, il tecnologico e seduttivo Hal 9000, che imita (e sottolineo “imita”) alla perfezione il suo modello in carne e ossa, tanto da batterlo agli scacchi (eloquente simbolo di virtù belliche). Il modello in realtà è duplice, una coppia di astronauti che nel mimetico Kubrick è foriera di nulla di buono. Lo scenario si ripete in onore della Sfinge di Tebe: il nipotino Hal ha tutta l'intenzione di sostituire papà Dave, a sua volta evolutosi sul modello di un nonno divino (l’antico monolito), perché in fondo ai suoi circuiti elettronici si crede più in gamba di lui. Ma la scimmia in tuta spaziale ne sa una più del diavolo e se pure Hal fa fuori l'astronauta espiatorio, alla fine la mostruosa divinità artificiale è sacrificata dall'eroico Dave sull'altare di una ritrovata umanità. Anche Hal si eclissa.
Senonché, sembra proprio che l'uomo non possa fare a meno di idoli e la divinità di adepti, ed ecco che subito riappare il monolito. Si torna al punto di partenza, con l’uomo nel ruolo di allievo e il monolito in quello di modello. Cosa comanda la divinità, stavolta? Ma naturalmente un ulteriore salto evolutivo, una nuova prova d'abilità per un cadetto cha ha dimostrato di aver appreso la lezione. Ha inizio il viaggio iniziatico di Dave in uno spazio-tempo labirintico che sa di catabasi nell'oltretomba, condito com'è di “smembramento” psicofisico, ricomposizione e ascesi spirituale verso un iperuranio relativistico. Anche stavolta l'allievo supererà il maestro? Non esattamente. Senza innescare apparenti guerre di successione, il monolito, dopo un'ultima apparizione di fronte a un letto di morte installato in un motel di gusto postmoderno, placidamente toglie il disturbo assieme a un Dave dalla brutta cera. Da questo duplice commiato nasce una nuova divinità dalle fattezze umane, il nuovo Dave, quel Bambino del Mondo che, ispirato all'archetipo del Fanciullo divino, ai putti alieni di Brancusi e all'omonima carta dei Tarocchi (evocati in molte scene del film), volteggia infine leggiadro nella placenta dell'Universo. Quali ingiunzioni la nuova Stella riserverà ai suoi futuri discepoli non è dato sapere, il film non lascia intendere né che si tratti dell'avvento di un Messia sul modello (e sottolineo “modello”) di un “Salvatore”, né che la staffetta sia proseguita senza ulteriori spargimenti di sangue. Possibile? Ovvio che no:
4) Il Bambino-Dave ha di fatto rimpiazzato “post mortem” il Vecchio-Dave, prendendo il suo posto con l'astuzia di un mito di morte e rinascita invero un po' schizofrenico e, dunque, perfettamente in linea con la reversibilità circolare del mito. Se il motto “Io e il Padre siamo uno” vale per tutti i tandem divini, da Zeus-Dioniso passando per Dio-Adamo fino al nostro Dave al quadrato, è perché ogni resurrezione è fondata su un sol dell'avvenire che eclissa il precedente. Nulla di nuovo sotto il sole, insomma.



Roberto Ago - Double bind, 2013, Frame da video


Finale di partita

Il film rappresenta, oltre a un felice caso di mitopoiesi incentrata sulla trascendenza della vittima originaria e le sue molteplici reincarnazioni nei doppi antagonisti, anche un classico viaggio iniziatico di morte e resurrezione da parte del protagonista, modellato con dubbia consapevolezza mitica ma somma ispirazione mimetica sull'esempio di celebri rappresentazioni della stessa risma. Per esempio in Da Dioniso a Cristo, riferendosi all'orfismo e ai Misteri di Eleusi e con più di un rimando alle figure sacrificali di Osiride, Orfeo e Cristo, Giuseppe Fornari riconduce il rituale iniziatico di morte e rinascita (proprio anche di molte pratiche sepolcrali) a una reminiscenza ancestrale della vittima fondatrice e della sua resurrezione nella figura del Fanciullo divino, due temi pertinenti sia al mito di Dioniso sia al viaggio nell'oltretomba labirintico da parte di un iniziato identificato col dio. E dunque, con ogni evidenza, anche al télos di 2001. Il lifting escatologico finale sembrerebbe concludere una palingenesi sacrificale in tre atti sul modello degli antichi Misteri, secondo una rielaborazione sincretistica assai originale combinante fantascienza e mitologia.
Senonché il senso più autentico di 2001 non sta affatto nel suo “lieto fine”, nell’escatologia ingenua del finale. Sta tutto, invece, in una staffetta sacrificale che è senza soluzione di continuità e che paradossalmente, nel perseguire il suo eterno ritorno, è alimentata da continue illusioni mitiche di salvezza. Il film dimostra che è l'impossibile fuoriuscita dal circolo tragico delle reincarnazioni a forgiare paradossali idoli d'eternità, a loro volta fuoriusciti da “sacrifici” del tutto reali modellanti la trascendenza delle vittime. Che queste si chiamino monolito, Hal 9000, Dave “alla seconda” fa poca differenza: da un punto di vista drammaturgico sono tutti doppi l'uno dell'altro. Il cinema di Kubrick, lo si è detto tante volte, è un unico film senza soluzione di continuità. Ora, capiamo meglio in che senso. Tanto che nemmeno l'ultima nata divinità del finale di 2001 è in grado di sfuggire al rimpallo tragico: essa certamente annuncia la sua imminente adolescenza nei panni del dionisiaco Alex di Arancia Meccanica, e questo, a sua volta, la saturnina maturità del Jack di Shining, che immancabilmente sarà alle prese con un figlio-allievo che lo rovescerà. In senso extra-diegetico, d’altro canto, il Feto astrale sembra incarnare perfettamente lo Zeitgeist: l’avvento del Sessantotto. 



Roberto Ago - Double bind, 2013, Frame da video


Lungi dal mettere in crisi il copione mitico-religioso, Kubrick lo assume per intero. Se la rinascenza conclusiva dell'iniziato Dave ci appare solo come l'ennesima, temporanea incarnazione, non è certo per merito del registro mitico del film, ma di un imperativo demistificatorio che ci abita sempre più. Ma che forse latitava in un regista “sacrificale” quale indubbiamente è Kubrick, il quale intimava di non cercare il significato del suo film più enigmatico affermando addirittura che “se qualcuno ha capito qualcosa, significa che ho sbagliato tutto”. Quel qualcuno evidentemente non era lui, che non comprendendo appieno la sua creatura non ha sbagliato nulla. Il “mistero” di quel capolavoro che resta 2001: Odissea nello Spazio ad ogni modo mi pare svelato, se per la prima volta o meno ha relativa importanza.

* Sul monolito di 2001: Odissea, cfr. Giuseppe Fornari, Da Dioniso a Cristo. Conoscenza e sacrificio nel mondo greco e nella civiltà occidentale, Marietti 2006, pp. 23-24, 40, 188-89, 578.